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giovedì 18 marzo 2010

Così Ted Hughes scacciò il fantasma di Sylvia Plath

Così Ted Hughes scacciò il fantasma di Sylvia Plath

  

I rapporti Versi patinati che segnano una presa di distanza: la luce che attenua il calore.

Leggendo il Meridiano da Nicola Gardini e Anna Ravano dedicato a Ted Hughes si fa qualche scoperta. Si scopre che a distanza di quarantacinque anni dal suo suicidio il mito di Sylvia Plath è intatto, intoccabile. Si scopre, parlandone con gli amici, che il confronto con il marito Ted è inevitabile. Si scopre che la grandezza di Ted Hughes, del poeta Hughes, non è indiscussa. Approssimativamente, dentro di me, si era formata la convinzione che Hughes somigliasse al nostro Montale. L’ idea era quella di un percorso analogo: un poeta fino a un certo punto; un altro poeta, verso la fine. Con Lettere di compleanno Ted Hughes esce dal riserbo intorno alla propria persona e vita – in modo chiaro, non più ellitticamente, o per correlati obiettivi. L’ autobiografia al posto delle idee, o di un crudo catalogo dei fatti osservati, fiori, uccelli, animali. Ma questa idea del percorso simile del poeta inglese a quello del poeta italiano, che dopo i tre grandi libri di giovinezza e maturità aveva, con Satura, tutto rovesciato, s’ era portata con sé l’ erronea idea d’ una comparabile altezza delle due voci. A leggere il Meridiano, cominciando dall’ eccezionale saggio di Gardini, che pure ciecamente crede nel suo poeta, e proseguendo con la puntigliosa biografia della Ravano, quando si arriva al testo, alla sua vastità, alla sua incombenza, la percezione si va modificando. No, Ted Hughes non è affatto un poeta grande come Montale. Perché, in effetti, un simile paragone? E qui torniamo alla prima scoperta. Non c’ è lettore del poeta inglese e della poetessa americana che, conversando dell’ uno e dell’ altra, non abbia sentito il bisogno di sottolineare come Ted Hughes fosse superiore, proprio come poeta, alla Plath. In modo così ripetitivo, da far nascere qualche domanda. Che le due biografie si intreccino in modo irrevocabile, si sa. Si sa, anche, quanto si intreccino i due testi, i diari dell’ una e le poesie dell’ altro. Ma questo cosa cambia? Davvero la vita è, rispetto all’ opera, così cruciale? Davvero non si esce dal garbuglio di queste due opere senza separarle e senza separare ciascuna opera dall’ una e dall’ altra biografia? Forse sì.
In tal senso mi sono fatta questa idea: che a parte qualche lampeggiante verso, l’ opera maggiore della Plath sia nel suo diario e nelle sue lettere. In questi due testi le maschere di cui, Hughes dice, l’ io di Sylvia si ricopriva in modo ossessivo sono meno artefatte. «Essere nata donna – scrive la Plath – è la mia terribile tragedia. Dal momento in cui fui concepita sono stata condannata a sviluppare le mammelle e le ovaie piuttosto che il pene e lo scroto, condannata a una sfera d’ amore, di pensiero e di sentimento rigidamente circoscritta dalla mia ineluttabile femminilità». Perché non crederle? D’ altra parte nella poesia Daddy il rimpianto-risentimento per il padre morto quando Sylvia aveva dieci anni è chiaro: «Papà, ammazzarti avrei dovuto. / Ma sei morto prima che io / Ci riuscissi, tu greve marmo, sacco pieno di Dio». Il padre era tedesco, la Germania e l’ Europa per la giovane americana erano un incubo, forse un rimorso. Quando la Plath sposò Ted Hughes sembrò aver convogliato verso questo «colosso» (per usare un termine della stessa Plath) tutto l’ alone di morte che si trascinava dietro, come un’ ombra. In quanto a lui, in quanto a Hughes, la sua vitalità è, al contrario, straripante. Egli è, comunque, un colosso. Nulla lo ferma. Neppure il suicidio, sei anni dopo quello di Sylvia, della seconda moglie Assia sembra incrinarne la potenza (non già, io credo, l’ eventuale cinismo): Assia muore nel marzo del 1969, Hughes si sposa per la terza volta nell’ agosto 1970. Come si legge in tante delle poesie raccolte in Lettere di compleanno – una memoria dettata tutt’ altro che da un senso di colpa o da nostalgia – il sentimento oscuro, il lutto, veniva dall’ America, non già dalla vecchia Europa. I due sposi interrogano gli spiriti. Dopo mille tergiversazioni e inconcludenze (nella poesia Ouija) la risposta è: «Verrà la fama. Fama per te, soprattutto. / La fama è inevitabile. E quando arriverà / l’ avrai pagata con la felicità, / tuo marito e la vita». Scritto quarant’ anni dopo la morte di Sylvia, da parte del marito come profezia non è un granché, ma è qualcosa come giudizio. Ancora di più nella poesia intitolata Cappotto nero.
Ted si spinge verso il mare. Sylvia lo guarda da lontano, nella sua mente non c’ è che il padre. Ma: «Non mi accorsi / che, mentre le tue lenti si stringevano, / lui mi scivolò dentro». Lui, cioè il padre di lei. Già Giovanni Raboni aveva osservato la qualità rivelatrice di questo testo e come, in genere, tutto Lettere di compleanno fosse una presa di distanza dal cumulo emotivo che al suo autore era stato scagliato addosso prima dalla moglie, poi da tutto il mondo. Vorrei però aggiungere che queste 88 poesie, come l’ intera opera di Ted Hughes, sono non solo un atto di presenza ma anche una presa di distanza, una distanza (ne segnalo una) per il nostro gusto, per così dire democratico, piuttosto fastidiosa. Vi è in esse una patina, una smaltatura. Che conferendo luce ne attenua il calore. Se la tecnica del primo Hughes è quella di Eliot (il correlato obiettivo, svuotato di ogni proprietà simbolica), il tema è quello di Lawrence. Basterà allora confrontare qualunque poesia di Corvo, in genere descrittiva in modo laconico, con Uccelli, bestie e fiori, appunto di Lawrence, per saggiare l’ energia ma anche la remissività livellatrice di Hughes rispetto alla semplificazione, perfino la brutalità, ma insomma la forza d’ urto, del suo quasi conterraneo: «Che sciocchezza pretendere che cavoli e piante d’ ibisco siano uguali!». Sciaguratamente, Lawrence sta parlando del socialismo, dei socialisti. Il termine di confronto naturalistico è tutto sbagliato. Ma ciò che a Lawrence mai viene meno è il coraggio di pronunciare la sua verità. L’ autore Edward James Hughes, (Mytholmroyd, 1930 – Devon 1998) noto come Ted, esordì nel 1957 con la raccolta di versi «Lo sparviero nella pioggia», seguita da numerose altre. Nel 1956 aveva sposato la poetessa Sylvia Plath. Alla loro separazione (1962), seguì il suicidio di lei (1963), del quale il poeta fu ritenuto responsabile. La loro relazione è oggetto del suo ultimo libro di poesie «Lettere di compleanno».
Cordelli Franco

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